domenica 18 novembre 2007

L'inverno


E' arrivato l'inverno ed ha portato la neve sulle montagne sopra il paese,la campagna ha un aspetto addormentato. Le giornate passano, accompagnate dal grigio e bianco tutto intorno.Il freddo fa sentire la sua forza.Il riposo domenicale gira dentro le mura di questo nido, si accende presto il caminetto la mattina e dopo aver fatto l'essenziale per la casa,affondo nella vecchia poltrona davanti al fuoco che scoppietta,con un buon libro oppure con i miei pensieri.E la mente torna indietro nel tempo.Si dice che quando si comincia a vivere di ricordi si sta invecchiando.Quante cose sono cambiate dagli anni dell'infanzia,ricordo la casa dove sono nata,era molto vecchia e abbastanza piccola ,due camere ,un bagno piccolissimo e una cucina, anche lì c'era il caminetto ma non potevamo accenderlo perchè faceva fumo. Si accendeva la stufa,non c'erano i radiatori a scaldare le stanze , le camere erano molto fredde, non avevamo neanche l'acqua calda dai rubinetti e per lavarsi si metteva il pentolone sulla stufa.In casa allora eravamo 6 io, mia sorella i genitori e i nonni paterni.Io dormivo in camera con la mamma e il babbo mentre mia sorella dormiva in camera con i nonni, ricordo i soffitti di quelle stanze molto alti la cucina sempre in ombra ,la sua finestra dava sul corso Rosselli lastricato con i san pietrini e sotto la finestra c'era un gradino dove sedevo insieme al nonno per giocare a carte ,era il nostro passatempo.Con il nonno mi divertivo tanto, è stato per me un compagno di giochi ed anche un giocattolo .Fu lui che mi insegno' ad allacciare le scarpe, con tanta pazienza .Mi raccontava della sua gioventu' , mi ha insegnato a contare. La nonna era sempre presa dalle sue faccende ,sempre a pulire e sistemare, non giocava molto con noi bambine.La mamma lavorava il babbo anche e quando mia sorella piu' grande di tre anni ando' a scuola, la mattina sarebbe stata una noia tremenda senza il nonno,fu lui a costruire la piccola capanna per il presepe ,ancora oggi per allestirlo prima del natale,mio figlio usa quella capanna.La camera della mamma era un luogo solare, la mattina la luce filtrava tra le persiane semichiuse ed inondava la stanza di luce ,sopra il letto c'era una bambola di "coccio",vestita d'azzurro con un cappellino e un ombrellino nella mano, la mamma la chiamava ombretta,chissà .Che magia gli anni della prima infanzia!Tutto procedeva tranquillo,non c'erano le comodita' ed i divertimenti che si possono trovare oggi,ma lo scorrere lento di quella vita semplice ha lasciato impressi nella memoria le emozioni, il calore della famiglia ,i profumi delle stanze, i passi del babbo sulle scale quando tornava a casa, le risate delle zie.La nonna aveva 4 sorelle che venivano a trovarla, erano da noi quasi tutti i pomeriggi ed ogni volta la nonna preparava il caffè. Il profumo arrivava fino al portone,ogni tanto passo davanti a quella casa che lasciammo nel 1965, avevo 4 anni.Sono tentata di suonare e chiedere alla signora che ci abita e che conosco bene se mi fa entrare per fare un giro, ma ogni volta rimando per timore di disturbare.

sabato 3 novembre 2007

UNA MAESTRA ALTERNATIVA


Comunemente definiamo "alternativo tutto cio' che è fuori dagli schemi,che percorre strade diverse. E' alternativa una casa su una zattera, una vacanza a piedi.La medicina non ufficiale è alternativa.
Viaggiatori di altri tempi si recavano a Pechino a piedi.L'oriente e l'occidente hanno trasmesso e scambiato l'uno con l'altro, non solo prodotti ma idee,cultura,arte.

La cosa strabiliante è che in questa epoca chiassosa, tutti o quasi, proviamo il bisogno di tornare a "sentire"noi stessi,le persone a noi care,l'ambiente che ci ospita. Essere "super"uomini è gratificante, ma anche faticoso e, lascia una sensazione di inquietudine e la percezione di aver perduto l'essenza,l'autenticità di essere persone. Il mio è un paese molto vecchio e poco alternativo, ha le sue radici nel periodo glorioso della Roma antica.Punto di scambio e di commercio tra il tirreno e l'adriatico, luogo dove tanti stranieri hanno sostato. La prima regola del paese diceva così:
"Le leggi del visitare e del salutare l'ospite per mia autorità siano queste: non sia respinto l'ospite fore-stiero. Ai diritti dell' ospitalità si uniscano i doni. Si abbia cura dell'ospite si difenda da offesa.
Amichevolmente si mettano in comune con lui le cose necessarie. Essi ringrazino l'ospitante non violino le leggi dell'ospitalità con furti o con le insidie all'onestà. Si aspettino con piacere ospiti buoni e non si costringano né a partire né a rimanere."

(DECRETO DEL SENATO SENTINATE)
......
Laura è una maestra elementare,una figura imponente la sua. Con folti capelli , alta,anziana all'anagrafe e nella scuola.Porta occhiali con lenti oscurate ,si intravedono gli occhi , mai lampi d'emozione. Seria,vestita sobriamente.E' tra le prime clienti a fare spesa la mattina presto in negozio,di poche parole,risponde al mio saluto di buongiorno ma non è mai la prima a salutare, ha sempre tanta fretta,sembra sempre tanto triste.Una mattina le sfodero un sorriso ,come avessi i 164 denti di s.Teresa, tutti riuniti tra mascella e mandibola.Di risposta lei mi dice:-Sbrigati cocca che ho fretta!!
io-Dimmi pure laura
lei-Un etto di cotto, quello più buono senza conservanti ..per mia madre.Poi fammi anche un etto di quello più economico da nove e novanta,tanto è buono lo stesso,è per la badante rumena.


venerdì 2 novembre 2007

DALLA PAGINA DI NONNATUTTUA


BALLATA IRLANDESE

Trova il tempo




Trova il tempo di riflettere,

è la fonte della forza.

Trova il tempo di giocare,

è il segreto della giovinezza.

Trova il tempo di leggere,

è la base del sapere.

Trova il tempo di essere gentile,

è la strada della felicità.

Trova il tempo di sognare,

è il sentiero che porta alle stelle.

Trova il tempo di amare,

è la vera gioia di vivere.

Trova il tempo d'esser contento,

è la musica dell'anima.

giovedì 1 novembre 2007

antiche fiabe orientali da" Buddismo e societa'"

Ryunio, figlia del re Drago
rielaborata da Gianna Mazzini


Ryunio è una bambina che ha appena compiuto otto anni.
È una che capisce subito le cose, anche quelle che non si vedono. Lei, ad esempio, è capace di guardare un paio di scarpe e di capire tutti i viaggi che hanno fatto, lei è capace solo guardando gli occhi delle persone di capire chi sono i loro amici, quali sono i loro dolori, come sarà il loro futuro. Conosce un sacco di cose anche molto difficili, e certe volte si mette tutta seria seria a chiedersi il perché della vita, e i pensieri che fa e le parole con cui li dice sono meravigliosi. E poi, anche se è così piccina, soffre e gioisce per gli altri come fossero tutti figli e figlie sue. È gentile, benevola, dolce, con un carattere sensibile e forte allo stesso tempo. Insomma è davvero magica ed è difficile crederci perché tutti lì dicono che è impossibile essere così saggi quando si è così piccoli e così femmine. Perché le femmine, dicono, non possono diventare così sagge in così poco tempo. Quasi neanche i maschi lo possono, figurati le femmine, dicono (tanto tanto tempo fa c’erano credenze del genere). Tant’è che un giorno il signor Accumulo di Saggezza (si chiama proprio così perché sa praticamente tutto), che stava discutendo di cose molto profonde con altri saggi, dice: «Per essere magici lo sappiamo ci vogliono kalpa e kalpa (è così che loro chiamano gli anni), ci vogliono kalpa e kalpa di esercizi difficilissimi senza mai riposare. Solo dopo aver fatto tutto questo ce la si può fare. Non ci posso credere che questa bambina ce l’abbia fatta in così poco tempo».
Insieme a lui c’era Manjushri (avevano questi nomi strani a quel tempo e in quel paese). Manjushri era un saggio che l’aveva conosciuta bene per essere stato tanto tempo nel regno del padre di Ryunio, il famoso Re Drago.
E poi c’era Shariputra, un saggio conosciuto da tutti perché aveva letto tutti i libri del mondo e conosceva milioni di milioni di parole. E c’era soprattutto Shakyamuni, un saggio saggissimo perché era quello che sapeva guardare meglio nel cuore delle persone e che loro, per questo, chiamavano Budda (Budda è una parola che vuol dire all’incirca “persona che sente il cuore degli altri, desidera la loro felicità e capisce il senso della vita”).
Mentre questi signori saggi stavano discutendo sulle capacità di questa bambina, eccola là che appare improvvisamente: Ryunio era proprio piccola come se la ricordava Manjushri.
Lei avanza verso di loro e arrivata lì davanti china il capo in segno di rispetto. Allora Shariputra le dice: «Tu presumi di avere raggiunto la conoscenza profonda della vita in così breve tempo ma questo è davvero difficile da credere. Solo dopo aver trascorso tanto tempo e aver fatto tanti esercizi e prove difficilissime alla fine si può ottenere questa conoscenza profonda. E le donne non possono farcela. Figurati le bambine. Come hai fatto?»
Allora Ryunio si toglie dalla tasca un gioiello che aveva con lei, prezioso come milioni di mondi, lo porge al Budda Shakyamuni e il Budda lo accetta immediatamente. E poi lei dice, rivolta ad Accumulo di Saggezza e a Shariputra: «Io ho offerto questo gioiello e il Budda l’ha accettato, non è accaduto forse in un attimo?»
«Sì», rispondono loro un po’ stupiti. «Allora – riprende Ryunio – ora osservatemi bene e guardate cosa so fare in modo ancora più veloce».
E lì successe qualcosa di straordinario: tutti videro la bambina trasformarsi in un istante in un uomo. (Per loro, infatti, solo un uomo poteva essere veramente saggio e capire il senso della vita). Insomma tutti la videro predicare la Legge agli dèi e agli esseri viventi di quel tempo. I cuori di tutte le persone del mondo si riempirono di gioia. Tanti, tantissimi, ascoltandola, riuscirono a capire il senso della vita e come la vita funziona e diventarono felici.
Il mondo si scosse e tremò in sei modi diversi.
Poi la bimba tornò se stessa, alta poco più di un metro e saggia quanto tutti i mondi. Più alta e saggia di quando per convincerli aveva usato lo stratagemma della trasformazione.
Accumulo di Saggezza e Shariputra e tutti gli altri che erano lì capirono. E non se lo scordarono più.
Questo racconto è contenuto nel Sutra del Loto. E serve a insegnarci che la comprensione profonda della vita è una capacità che non si guadagna con lo studio o con l’età. La saggezza è una cosa che abbiamo dentro di noi. Che non si ottiene studiando o facendo fatiche grandissime ma andando al cuore delle cose.

antiche fiabe orientali da "buddismo e societa'"

I ciechi e l'elefante
rielaborata da Roberto Carvelli


Successe in India. Tanto tempo fa. Una volta nel parco di Anatapindika, nella città di Jetavana presso Savatthi, religiosi, dotti e scienziati litigavano furiosamente, si accapigliavano, si offendevano. Ognuno pensava di dire ciò che era giusto e ciò che era sbagliato e ognuno aveva l’idea che era giusto ciò che diceva lui e sbagliato quello che diceva un altro. Ognuno era così convinto di essere dalla parte della ragione che neanche ascoltava quello che l’altro aveva da dire e appena si accorgeva che voleva dire qualcosa di diverso lo offendeva dicendo: «È giusto come la penso io, la tua idea è sbagliata». E l’altro lo stesso: «Ma che dici? La mia è l’idea giusta, è la tua che è sbagliata». E litigavano ancora. Per lo più litigavano per un fatto: che uno diceva che l’universo è grande grande grande, così grande che praticamente non ha né una fine e né un inizio. Praticamente: l’universo è infinito. Ma l’altro non era d’accordo perché diceva che invece il mondo è finito e faceva un disegno del villaggio in cui vivevano per dimostrarlo. Ma non litigavano solo per questo. C’era chi diceva che gli animali hanno un’anima e chi diceva di no. Uno che il tempo non ha né un inizio e né una fine – come quell’altro aveva detto dell’universo – e l’altro santone si stropicciava la barba e iniziava a contare «uno due tre… mille… vedi che si può contare il tempo? Quindi se si può contare con i numeri a un certo punto finirà!» Nonostante fossero tutte persone molto colte e istruite ognuno però usava la sua sapienza per offendere con le parole l’altro. Uno diceva: «Sei uno stupido. La terra gira, altro che ferma». E l’altro: «Se gira allora tutto dovrebbe cambiare sempre». Poi si davano dello sciocco perché per uno la terra era rotonda e per un altro piatta. Insomma in questa città, che si chiamava Savatthi, regnava una grande confusione. Ma per fortuna tra tutti i saggi ce n’era uno di gran lunga più saggio. Tanto saggio da non cadere nei facili tranelli delle discussioni, da vivere in disparte e con modestia ma sempre disposto ad accettare l’idea espressa da un’altra persona. Questa sua serenità lo rendeva ancora più saggio ed era da tutti riconosciuto come un saggio dei saggi. Anzi diciamo pure il saggio per eccellenza. Ma il nostro dotto amico, saputo di quello strano conflitto, si era molto contrariato perché pensava che era buffo che persone così intelligenti e profonde non riuscissero a trovare un accordo sulla loro ricerca di verità e che fossero convinte che la loro verità fosse così giusta da offendere quella dell’altro. Avrebbe potuto intervenire anche lui cercando di capire cosa diceva uno e cosa l’altro, ma rendendosi conto che non sarebbe servito a nulla entrare nella discussione decise di raccontare una storia che li aiutasse a capire. La storia che gli raccontò era quella di un gruppo di ciechi e di un elefante. E la storia diceva così. Cari monaci, un re in un tempo molto antico, in questa stessa città mandò a chiamare tutti coloro che erano nati ciechi. Dopo che questi si furono raccolti in una piazza mandò a chiamare il proprietario di un elefante a cui fece portare in piazza l’animale. Poi chiamando a uno a uno i ciechi diceva loro: questo è un elefante, secondo te a cosa somiglia? E uno diceva una caldaia, un altro un mantice a seconda della parte dell’animale che gli era stata fatta toccare. Un altro toccava la proboscide e diceva il ramo di un albero. Per uno le zanne erano un aratro. Per un altro il ventre era un granaio. Chi aveva toccato le zampe le aveva scambiate per le colonne di un tempio, chi aveva toccato la coda aveva detto la fune di una barca, chi aveva messo la mano sull’orecchio aveva detto un tappeto. Quando ognuno incontrò l’altro dicendo quello a cui secondo lui somigliava l’animale discutevano animatamente perché ognuno era convinto assolutamente di quello che aveva toccato. Perciò se gli chiedevano a cosa somigliasse un elefante diceva l’oggetto che gli era sembrato di toccare. Naturalmente se uno diceva un mantice e l’altro una caldaia volavano gli insulti perché nessuno metteva in dubbio quello che aveva sentito toccando la parte del corpo dell’elefante. Il re vedendoli così convinti della loro sicurezza e litigiosi si divertiva un mondo. Ma alla fine decise di aiutarli a capire, e a due a due li invitava a toccare quello che aveva toccato l’altro e a chiedergli a cosa somigliasse. Così tutti dicevano quello che sosteneva l’altro e si invertivano i ruoli. Come se fosse stato un gioco li invitò a parlare tra di loro e alla fine tutti si formarono l’idea di come in realtà l’elefante fosse. Tutti furono d’accordo che era un mantice con un ramo di un albero nel mezzo e a lato un aratro con due tappeti sopra un granaio sostenuto da colonne e tirato da una fune di barca.
Dopo che il saggio Maestro ebbe finito di raccontare questa storia disse: «Miei saggi discepoli voi fate la stessa cosa. Non sapete ciò che è giusto e ciò che è sbagliato né ciò che è bene e ciò che è male e per questo litigate, vi accapigliate e vi insultate. Se ognuno di voi parlasse e ascoltasse l’altro contemporaneamente la verità vi apparirebbe come una anche se ha molte forme».

Questa parabola è tratta dagli Udana.

antiche fiabe orientali da "buddismo e societa'"

Tigre di pietra
rielaborata da Serenella Mete


Il generale Li Kuang osservava l’ampia vallata dall’alto della collina dove sorgeva la ricca dimora della sua famiglia. Le sue proprietà si stendevano al di là dell’orizzonte, oltre i grandi boschi, oltre il corso serpeggiante del fiume, oltre la pianura che si scorgeva in lontananza. L’imperatore Wu, dopo l’ultima vittoria contro l’esercito nemico, gli aveva concesso il feudo più grande di tutto l’impero e la carica di Gran Guardiano della Corona. La sua fama di arciere superava quella dei più grandi guerrieri del passato e si era sparsa fin negli angoli più remoti del Giappone. Il giorno seguente sarebbe partito per la capitale; i servi e gli stallieri stavano caricando i cavalli con un gran numero di magnifici doni per l’imperatore e Li Kuang sorrideva al tramonto ringraziando gli dèi per gli onori e la gloria che le sue imprese coraggiose avevano assicurato al paese e alla sua famiglia. Un improvviso vociare e lo scalpitio di un cavallo interruppero la serenità della sera. Un uomo trafelato si inginocchiò posando ai suoi piedi una sciarpa insanguinata: «Signore, una terribile disgrazia… la grande tigre, Shramana…» Li Kuang riconobbe il velo color del sole che sua madre portava sul capo. Fece un gesto e l’uomo proseguì: «La signora del castello era sul fiume, con le sacerdotesse, per le offerte agli dèi, quando è apparsa la grande tigre: con un balzo è piombata su di lei, divorandola, con un altro balzo è di nuovo sparita nel bosco». Li Kuang sentì il cuore trafitto da mille pugnali, ma gli occhi rimasero di ghiaccio: «Presto, le mie armi, il cavallo e dodici cavalieri!» In pochi istanti il gruppo di arcieri si slanciò giù per la collina, verso il bosco, mentre il sole calante tingeva di rosso il fiume e la pianura. «Shramana, mostro assassino, non sfuggirai alla mia vendetta» pensava Li Kuang; sentiva che stava andando incontro alla battaglia più difficile della sua vita, doveva affrontare faccia a faccia il demone del male che aveva distrutto la sua famiglia, mentre nella sua mente si affacciavano i volti delle donne e degli uomini che negli ultimi mesi erano stati uccisi dalla grande tigre. Sentì che tutto il coraggio che lo aveva reso vittorioso contro gli eserciti nemici questa volta non sarebbe bastato; cercò dentro di sé una forza più profonda e la trovò. Non si era mai sentito così determinato, cavalcava verso il folto del bosco come se conoscesse il punto esatto in cui i suoi occhi e quelli di Shramana si sarebbero incontrati. E all’improvviso, nel mezzo di una radura, la vide, accucciata immobile nella penombra. Con gesti silenziosi e veloci Li Kuang tese l’arco e scagliò una freccia, sentì un sibilo e la vide penetrare nel cuore della tigre. Un grido di vittoria uscì dalle labbra dei suoi uomini, ma quando tutti si avvicinarono al corpo inerte, si accorsero con grande meraviglia che la freccia era penetrata interamente in una grande pietra che avevano scambiato per la tigre. Li Kuang, incredulo, si allontanò dalla roccia e scagliò un’altra freccia, un’altra e un’altra ancora, ma le punte rimbalzarono e le aste si ruppero. «Tanta era la tua fede, Signore! – mormorò un cavaliere – Lo stesso accadde all’Imperatore di Han, il quale credette senza alcun dubbio alle parole del suo servitore, tanto che il fiume gelò ed egli potè portare in salvo il suo esercito». Li Kuang si sedette ai piedi della pietra e le lacrime cominciarono a scendere dai suoi occhi. Si narra che la caccia riprese: la tigre fu raggiunta e uccisa e Li Kuang divenne noto come il Generale Tigre di Pietra.

Questa storia è raccontata nel Konjaku monogatari shu.

mercoledì 31 ottobre 2007

Sandra e Franci

Per i sentieri di montagna,

Torna l'eco
dei torrenti in piena,
tra le gole ombrose ,
bianche e spoglie rocce.

Macchie verdi
di muschio nuovo e rigogliose felci.
Profuma d'antico il sottobosco,
il vento canta tra i cespugli bassi.
nel tuo sorriso
generoso e buono,
una luce che apre il cuore.




martedì 30 ottobre 2007

ispirazione


Accolta quando arriva,
cullata con tenerezza.



colora la vita
con le sfumature dell'arcobaleno.

IL MONDO INVISIBILE


Quante cose nell'abisso!
Un oceano inquietante,
custode,
nascondiglio....
A volte inaspettate,
emergono
naufraghe emozioni.
Immersa nell'abisso
m'improvviso pescatrice,

cerco attimi
colori
forme
momenti
odori
nel tempo stampati.
Melodia di note mute

Nel silenzio
vita respirata.